Risponde Mauro Crosato, avvocato amministrativista
La figura della “persona responsabile” per il rispetto della normativa, prevista dall’art. 5 del MDR è sostanzialmente interna all’ente: sotto questo profilo, somiglia quindi al “data protection officer” prvisto dal GDPR e ad altre figure analoghe.
Il testo della norma è molto sintetico e si limita ad affermare che la persona responsabile non può subire svantaggi in relazione alla corretta esecuzione dei propri compiti.
Letto a contrario, significa invece che può essere penalizzato per la loro scorretta esecuzione.
E’ evidente, che questa è una figura a supporto del fabbricante, al fine di aiutarlo nella corretta applicazione delle norme sui dispositivi medici. Il comma 3 prevede i compiti “minimi” (almeno, dice il testo), tutti volti ad accertare le corrette procedure di fabbricazione.
La responsabilità verso terzi, per il loro mancato rispetto, è però del fabbricante (art. 10, c. 16: eventualmente del mandatario, art. 11, c. 5).
Sotto il profilo civilistico, è quindi ipotizzabile un’azione di rivalsa del fabbricante nei confronti del responsabile che, in violazione dei propri compiti, non abbia svolto correttamente l’attività che gli era stata affidata ed abbia causato la messa in commercio di dispositivi non conformi, causa di danno risarcibile a terzi.
Sono inoltre ipotizzabili anche danni diversi subiti dal fabbricante, conseguenti, ad esempio, a sanzioni restrittive emesse dal Ministero della Salute (divieto di commercializzazione, ritiro dal mercato di prodotti non conformi) o da organi di P.G. (sequestro).
Penso che, qualora il responsabile sia un dipendente, la rivalsa del datore di lavoro sia sostanzialmente disciplinare, salvo il caso di applicazione del’art. 2014 cc. sulla violazione del dovere di diligenza, che può portare ad un vero obbligo risarcitorio in capo al dipendente.
Nel caso di un responsabile esterno l’ambito di responsabilità sarà legato alla corretta esecuzione dell’incarico ricevuto (direi un contratto d’opera intellettuale, art. 2230 cc.): dovrà quindi provare di aver correttamente eseguito l’incarico ricevuto, dovendo in caso contrario risarcire il danno cagionato (art. 1218 cc.).
Il danno sarà quantificato in base ai costi sostenuti dal fabbricante a causa del mancato esercizio dei compiti affidati (ad esempio: ritiro dal mercato di prodotti non conformi, risarcimento dovuto a terzi per difetto del prodotto).
Per il professionista esterno, dovrebbe essere possibile assicurarsi per questi danni con una normale polizza RC professionale: siamo nell’ambito della responsabilità civile.
Non sono invece ipotizzabili, a mio parere, responsabilità di natura amministrativa a carico direttamente della persona responsabile. L’unico caso che mi viene in mente è il caso di mancato possesso dei requisiti, che dovrebbe comportare la decadenza dall’incarico e, in caso del professionista esterno, l’obbligo di risarcimento del danno.
Sul piano penale, l’art. 110 c.p. estende la responsabilità a tutti coloro che hanno contribuito alla commissione del reato.
Si tratta di una responsabilità personale del soggetto agente. Sono molteplici i casi di responsabilità penale in cui potenzialmente si può incorrere, soprattutto nel caso di danni a soggetti terzi (reato di lesioni, punito anche a titolo di colpa), ma mi paiono ipotesi più di scuola che concrete. In linea di principio, risponde di questo tipo di reati il legale rappresentante del fabbricante, anche se è astrattamente ipotizzabile il concorso di un soggetto terzo.