Un operatore ci chiede quali sono i riferimenti per definire la classe di rischio di un dispositivo medico.
Risponde Sandro Storelli, coordinatore di OBV
I dispositivi medici sono classificati in base alla loro complessità e al potenziale rischio per il paziente. Vengono raggruppati in quattro classi di rischio: I, IIa, IIb e III. La classificazione dipende dalla destinazione d’uso che indica il fabbricante e va attribuita seguendo le regole di classificazione in vigore, descritte nell’Allegato IX del D. lgs.24 febbraio 1997, n 46. Fondamentalmente, la classificazione si effettua tenendo conto dell’invasività del dispositivo, della sua dipendenza da una fonte di energia (dispositivo attivo) e della durata del tempo di contatto con il corpo umano.
I “dispositivi non invasivi” sono quelli che non penetrano in alcuna parte del corpo. I “dispositivi invasivi” sono invece quelli destinati a penetrare anche solo parzialmente nel corpo, tramite un orifizio o una superficie corporea.
In base alla durata dell’utilizzo prevista, si distinguono dispositivi destinati a un utilizzo:
– temporaneo: se la durata continua prevista è inferiore a 60 minuti;
– a breve termine: se la durata continua prevista non è superiore a 30 giorni;
– lungo termine: se la durata continua è superiore a 30 giorni.
I “dispositivi attivi “per funzionare necessitano di una qualche forma di energia, diversa da quella generata direttamente dal corpo umano o dalla gravità, e che agiscono convertendo tale energia.
Un accessorio è considerato un dispositivo medico a tutti gli effetti e deve essere classificato separatamente dal dispositivo con cui è impiegato.
Per ogni classe sono individuate nel decreto specifiche procedure di marcatura.