Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 218/2012 contenente le nuove norme del codice antimafia, più soggetti sono sottoposti a controllo e detti controlli sono estesi anche ai familiari conviventi. I soggetti sottoposti a verifica sono elencati all’art. 85 del D.lgs.159/2011, integrato a sua volta dal D.Lgs.218/2012. Sul sito www.prefettura.it sono disponibili vari moduli di autodichiarazione. E’ sufficiente che il legale rappresentante sottoscriva un’autodichiarazione contenente tutti i soggetti da controllare inclusi i familiari conviventi o è necessario allegare autodichiarazione di ogni soggetto sottoposto a controllo inerente i familiari conviventi? Nel secondo caso, quanto possono ritenersi valevoli le autodichiarazioni rilasciate? Quando il legale rappresentante può direttamente presentare un’autocertificazione di comunicazione antimafia (Art. 89 D.Lgs. 159/2011)? E in questo caso è sufficiente l’autocertificazione del legale rappresentante o deve essere presentata da parte di tutti i soggetti sottoposti a controllo e familiari conviventi?
Risponde l’avv. Mauro Crosato, esperto legale amministrativista.
Per rispondere adeguatamente alla domanda è necessario distinguere i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche dai divieti a contrarre con la Pubblica Amministrazione, previste da diverse normative, tra cui la normativa antimafia (d.lgs 159/2011, c.d. Codice Antimafia).
Stabilisce infatti il Codice dei Contratti pubblici, all’art. 38, che “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento (…), né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) (…)
b) nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; l’esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società;
Come si vede, l’art. 38 disciplina il caso in cui “sia pendente un giudizio” per l’applicazione di una delle misure di prevenzione personale, mentre, qualora siano già state applicate misure di prevenzione o cause ostative l’esclusione dalla gara pubblica discende direttamente dal testo del Codice Antimafia.
L’art. 67 del Codice Antimafia stabilisce infatti espressamente il divieto di concludere contratti pubblici di qualsiasi tipo a seguito della definitiva applicazione di una delle misure di prevenzione personale previste dal Codice stesso, mentre l’art. 38, comma 1, lett. m) riporta come causa di esclusione dalle gare di appalto ogni misura che comporti il divieto di contrarre: sono infatti esclusi concorrenti “nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva (…) o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione”.
Quindi, anche prima dell’applicazione definitiva del divieto a contrarre previsto dalla normativa antimafia, il semplice avvio del procedimento a carico dei soggetti identificati dall’art. 38 del Codice dei Contratti pubblici determina l’esclusione dalla procedura di gara.
Per un coordinamento delle disposizioni contenute nel Codice Antimafia e nel Codice dei Contratti pubblici, va per prima cosa precisato che i riferimenti normativi previsti dall’art. 38 di quest’ultimo sono ormai superati.
Oggi, infatti, le misure di prevenzione sono previste dall’art. 6 del “Codice Antimafia”, mentre le cause ostative sono contenute negli artt. 67 e 76: l’art. 85 dello stesso Codice, oggetto di recente modifica, elenca quali figure siano da sottoporre a controllo al fine di verificare se l’impresa sia da considerarsi nell’orbita delle organizzazioni criminali o se sia configurabile un tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa stessa.
I soggetti elencati nell’art. 85 del Codice Antimafia e nell’art. 38 del Codice dei Contratti pubblici coincidono solo parzialmente.
Non vi sono problemi per le imprese individuali: le verifiche antimafia riguardano il titolare ed il direttore tecnico, se previsto, con la stessa dicitura prevista per il Codice dei Contratti pubblici.
Per le società di capitali, con l’approvazione del Codice Antimafia, i destinatari dei controlli non risultano corrispondenti a quanto previsto dal Codice dei Contratti pubblici: ad esempio, il direttore tecnico è previsto dall’art. 38 ma non dall’art. 85; l’art. 38 nulla dice dei consorzi o delle associazioni, previste dall’art. 85; tra le altre cose, il comma 3 dell’art. 85 del codice Antimafia precisa che i controlli devono riferirsi anche ai familiari conviventi, mentre il Codice dei Contratti pubblici non prevede in alcun modo i familiari.
Interviene a chiarire il rapporto tra queste due disposizioni il comma 4 dell’art. 67 del Codice Antimafia, che precisa che “Il tribunale, (…), dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni”.
Deve pertanto ritenersi che per i soggetti elencati nell’art. 38 del Codice dei Contratti pubblici l’eventuale applicazione della sanzione interdittiva presupponga automaticamente la sua estensione a “imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi” e che quindi, in caso di applicazione della misura di prevenzione, il divieto a contrarre si applicherà certamente estesa alle imprese che essi dirigono o delle quali determinano l’indirizzo.
Per le altre figure contemplate dall’art. 85 del Codice Antimafia, l’estensione del divieto da parte del Tribunale nei confronti delle imprese nelle quali essi operano è solo eventuale, non essendo la loro figura (si pensi ai sindaci) automaticamente in grado di determinare le scelte e gli indirizzi imprenditoriali: l’esclusione dalla procedura di gara avverrà quindi solo nel momento in cui, eventualmente, divenga definitiva l’estensione del divieto di contrarre in capo all’impresa, in quanto risulti accertata l’effettiva influenza di queste figure nella gestione.
Per i consorzi, i raggruppamenti di imprese, previsti dal Codice Antimafia ma non dal Codice dei Contratti pubblici ovviamente il mancato possesso, in capo ad una sola delle imprese associate o consorziate determina l’esclusione di tutte dalla procedura di gara.
Deve pertanto ritenersi che le recenti modifiche del Codice Antimafia non amplino il novero dei soggetti tenuti a rilasciare le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) del Codice dei Contratti pubblici, ma semmai, amplino le possibilità di esclusione dalla gara in base all’applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. m) dello stesso.